La verità è una sola: abbiamo molte domande, e poche risposte.
Io svolgo il lavoro più bello del mondo: sono un docente. E conosco centinaia e centinaia di ragazzi. Passo buona parte della mia vita con i ragazzi, ed è per questo, forse, che invecchio meno velocemente.
Allo stesso tempo sono un antropologo: mi piace osservare gli esseri umani, studiarli, cercare di capirli. Ed i ragazzi non fanno eccezione. Li osservo, li ascolto: hanno molte domande, e poche risposte. Proprio come noi, che siamo “i grandi”.
E’ un problema, avere molte domande e poche risposte?
No, non lo è. Anzi, è un vantaggio, sotto più punti di vista.
Chi pensa di avere risposte ad ogni cosa spesso è vittima dell’effetto Dunning Kruger, una distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità autovalutandosi, a torto, esperti in quel campo. Come corollario di questa teoria, spesso gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti. E si sa, gli incompetenti sembrano avere sempre risposte a tutto, anche se la scienza e la cultura dimostrano l’esatto opposto. E’ chiaro, quindi, che avere molte domande e poche risposte non è uno svantaggio: per lo meno, non rischiamo la DunningKrugerizzazione.
Inoltre, chi ha molte domande è portato a cercare le risposte. E chi cerca risposte, sviluppa senso critico. Pensate se, da piccoli, ci avessero fornito un manuale di funzionamento dell’essere umano: ci saremmo di certo risparmiati grandissime delusioni, è vero, ma non avremmo potuto sperimentare la libertà di pensiero, di valutazione. Non avremmo potuto provare, e sbagliare, e cercare di capire qualcosa, dai nostri sbagli. Non saremmo stati uomini liberi, ed è paradossale ma è così: la non conoscenza ci rende più liberi di indagare, sta a noi poi decidere come, per quanto tempo e a quale profondità.
Ed ancora, l’avere molte domande e poche risposte ci stimola alla condivisione culturale.
Siamo uomini e donne, non bestie guidate dall’istinto! Siamo esseri nati per condividere conoscenza: il nostro scopo su questo pianeta è comprendere e spiegare ciò che si è compreso. Tutto il resto è un contorno, un plus. Chi sa, ha il dovere di condividere ciò che sa. E’ un dovere civico, etico.
Infine, l’avere molte domande e poche risposte può stimolare in noi quel concetto tanto caro agli esseri umani quanto difficile da esercitare: l’umiltà.
L’umiltà intellettuale è il motore della crescita, è ciò che ci spinge a lavorare su noi stessi. L’essere umano è così piccolo, nei confronti dell’Universo, che non può pensare di avere tutta la conoscenza di cui ha bisogno. E non la avremo mai, questa conoscenza, perché, sillogisticamente parlando, quando scopro qualcosa, apro nuove finestre su qualcosa che ancora non conosco. E il ciclo riparte.
Cosa possiamo dire, quindi, ai nostri ragazzi? Cosa possiamo insegnare loro, se abbiamo tante domande ma poche risposte?
Beh, c’è un concetto che adoro e che inseguo continuamente, fin da quando sono piccino, ed è la perseveranza. Ed è questo che possiamo proporre, alle nuove generazioni: perseverare.
Dobbiamo credere nei nostri obiettivi, e continuare a camminare. Quando si è stanchi, si rallenta, e ci si appoggia a qualcuno. Ma non ci si ferma. La perseveranza è alla base della genialità di moltissimi esseri umani illustri, da Leonardo Da Vinci a Michelangelo Buonarroti, da Newton a Glenn Gould, e magari, un giorno, ne parlerò in un articolo.
Chi persevera, ottiene, chi la dura, la vince.
Questo, possiamo dire, ai nostri ragazzi: che abbiamo poche risposte perché le stiamo perseverantemente cercando.
Perché, infine, è proprio vero: il cammino è incommensurabilmente più importante della meta.
[foto dal web]
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