Non ho figli. Non so se ne avrò. Diciamo che ancora sono una mela a metà (anche se a dire il vero non sono mica un frutto…), e chi lo sa cosa succederà. Ma conosco molti ragazzi, per via del mio lavoro, e spesso mi ritrovo a ragionare.
Viviamo in un mondo così difficile: non sai mai cosa c’è dietro l’angolo, non sai mai a cosa andrai incontro, ed un giorno sei un pesce rosso in un acquario, il giorno dopo una sardina in mezzo ai barracuda. Per un osservatore del dettaglio come me, tutto è una incognita. Tutto. E tutto colpisce. Tutto. E quando lavori a contatto con i ragazzi, e vuoi loro bene perché ti affezioni, inevitabilmente il pensiero va dapprima a loro, e poi a chi hai più vicino.
E speri.
Speri che il ricordo che lasci, lasci una traccia, un piccolo segno di colore sul foglio bianco. Speri che le parole che emetti non vadano al vento, e speri che un domani, qualcosa di te rimanga.
Sono sempre più convinto che il fine ultimo dell’essere umano sia quello di morire pensando di non essere stato inutile: mi ritrovo spesso a immaginarmi mentre mi preparo a lasciare al mondo i miei atomi, e così penso a cosa penserò. Non so rispondere per certo, non ho ancora deciso a cosa penserò, ma sono sicuro che al pensiero di quanto io possa essere stato se non utile almeno non inutile io non vi rinuncerò, in quel momento…
Proprio ieri leggevo la lettera di un padre al figlio morto suicida a 15 anni, e mentre una classe svolgeva un compito, io ributtavo dentro le lacrime. Questo padre diceva più o meno così: “Non hai pensato al tuo papà? Possibile che tu non abbia ricordato ciò che abbiamo vissuto insieme?”. Ecco, diciamo che questo è ciò che più mi preoccupa.
Le persone non sono tutte uguali, fortunatamente. Ma vedo che la stragrande maggioranza ricorda a fatica. E non parlo di numeri telefonici, o date di compleanno, o doni o servizi o piaceri, no. Io parlo del ricordo di quanto si è vissuto insieme.
Io ricordo tutto, da quando ho 6 mesi. Tutto. Il suono del carillon della mia culla. La casa numero uno, l’asilo numero uno. La casa numero due, l’asilo numero due. La casa tre. Tutte le scuole. Tutti gli avvenimenti, gli accadimenti. I suoni, i profumi. Ricordo tutti i giorni università, tutti gli esami. Ricordo tutti i pomeriggi passati dalla mia Nonna Rosa, il profumo del the, le mele cotte, la tazza bianca con i fiorellini azzurri… E ricordo tutte le volte che ho bucato la bicicletta, e il rumore dei pedali. E ricordo…ricordo tutto. Io ricordo tutto. Nella mia mente, ho la mia vita come fosse un film. Sono la mia memoria storica personale. Poi non ricordo i nomi, ma questa è un’altra storia.
Ma le persone non lo fanno, solitamente: non ricordano tutta la loro vita. E non lo fanno perché non lo sanno fare. Ed io mi chiedo: quanto di ciò che si vive resta nei ricordi delle persone? Quanto? Resta di più del ricordo di quel figlio di quel padre? O meno? Quanto, da 1 a 100? 10? 50? Quanto resta?
Quanto possiamo sperare, dei nostri ricordi? Quanto, da 1 a 100? 10? 50? Quanto?
Io spero solo che almeno qualcosa dei ricordi che ho costruito resti, alle persone, soprattutto alle persone care che conosco e che ancora devono “diventare grandi”. Non dico 100. Non dico 50, o 10: mi basterebbe anche solo un 1. Perché anche solo un 1 può fare la differenza. 1 su 100, ed è già abbastanza…
[dedicato ad A., che sta diventando grande.]
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