Ho saputo pochi minuti fa che un altro mio ex studente, G., sabato sera, si è tolto la vita.

E’ già la seconda volta che io osservo la fragilità di un ragazzino che mi è affidato. Che spiego ciò che ho visto. Che vengo tacciato di essere esagerato. E che poi, con infinito dolore, sono costretto a confermare a me stesso di avere ragione. Statisticamente, conoscendo migliaia di situazioni, so che il rischio di imbattersi in queste notizie è rilevante. Ma la matematica, questa volta, non mi aiuta. Non mi aiuta. Cosa hai fatto, G. ? Cosa hai fatto ?

Io sono un grandissimo osservatore della società, e dei particolari. Ho una empatia affettiva estremamente sviluppata. E nonostante sia socialmente goffo, gli studenti che mi vengono affidati li capisco sempre. Sempre. Eppure mai nessuno mi ascolta quando metto in guardia. Mai. Mai mai mai. E non capisco perché. Non vorrei avere ragione. Non in questo modo.

Oh, mio caro G., che hai fatto? Che cosa hai fatto? Dove sei andato?

Mi ricordo dei tuoi occhi azzurri, dei tuoi capelli fatti di mille ricci. Del tuo essere sopra le righe, ma, con me, mai maleducato o cattivo. Anzi, mi ricordo che mai dimenticavi il saluto. MAI. Ti ho accompagnato per alcuni anni. A volte pensavo a dove fossi andato a finire.

E pensare che proprio l’altro giorno leggevo una lettera di un padre distrutto per la morte di suo figlio, suicida, come te. E gli chiedeva: ma non hai pensato al tuo papà?

Io non mi sento di chiederti niente. Niente. Perché non avrò risposte, e perché immagino il peso dei tuoi pensieri, per arrivare a tanto.

Solo ti dico che un pezzo del mio cuore te lo sei portato via, sabato. Te lo sei portato via.

Non mi pento di averti salutato sempre, di averti sorriso sempre, anche quando tutti gli altri dicevano che non ero obiettivo: non si può essere obiettivi, quando si vuole bene.

Un pezzo del mio cuore te lo sei portato via, sabato. Ma te lo lascio volentieri.

Ti ricorderò sempre. E quando io dico sempre, è sempre.

Sempre.

E a questa società dico: ma NOI a cosa serviamo? A cosa serviamo? Serviamo a dimenticare? A schiacciare? A sfiduciare? O ad amare?

Noi non amiamo abbastanza. Questa società è spaventosa.

Ti ricorderò sempre, G. Non ho abbastanza parole, ora.

Le ho finite, le parole, e le lacrime.

Ti ricorderò sempre, G.

il tuo educatore Simone.